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Ufficialmente sono un'impiegata commerciale e tento di vendere qualcosa all'estero in un orario part-time che di part-time ha solo il nome. Nell'altra parte del "time", quella immaginaria, sono una casalinga disperata. Vivo da sei anni nella Gcasa con un megalomane egocentrico spesso in preda a deliri di onnipotenza che qui chiamo amorevolemente Ego e recentemente pare sia diventato mio marito, una Ggatta convinta di essere la padrona di casa e un Ggatto suo sottoposto. Sono sociofobica, germofobica e un altro paio di cose che finiscono con "obica". Sono silenziosa, amo le parole ma uso scriverle piuttosto che buttarle al vento. Dico sempre esattamente quello che penso ma solo se interpellata - quando apro bocca o ho fame o sono incazzata. Maniaca dell'ordine, del pulito e in generale della perfezione ma non a casa mia. Sono una tormentata, per motivi non ancora chiari, ma non ho tempo per disperarmene perchè ho da correre alla ricerca della perfezione di cui sopra. Per i pregi purtroppo non c'è più spazio. Ballerina mancata, nella prossima vita vorrei fare l'ereditiera depressa, scrittrice nel tempo libero. Sogni nel cassetto: pubblicare un libro e girare il mondo.

giovedì 14 settembre 2017

L'argomento del mese - che dire "dei mesi" mi fa vergogna - è il prezzo della dignità.

Qui al lavoro è cambiato qualcosa quest'estate, è avvenuto il giro di boa tanto sperato da tutti (?).
Io non ci ho creduto finché le penne non hanno firmato, ed è successo davvero.
Come per magia è arrivato un partner florido e ben strutturato che con un bel bonifico ci ha risollevato da buona parte dei debiti e con un bel contratto ci ha garantito - potrebbe garantire - qualche altro decennio di vita alla baracca.
Pura fantascienza, cose che succedono solo nei telefilm, oppure solo a chi ci crede?
Un colpo basso per me che credo nella meritocrazia e pensavo che loro fossero stati già troppo fortunati in passato, troppo infami sempre, troppo poco riconoscenti, per meritare l'ennesimo colpo di culo. Odiavo più loro di quanto amavo il mio stipendio, il mio desiderio di vederli in basso era più forte di quello di avere gli introiti che mi spettano di diritto... e dopo dodici lunghi anni di piccole ingiurie lo ritenevo anche fisiologico tanto da non domandarmi se fosse normale.
Ho dovuto scontrarmi con il fatto che normale lo era solo per me.
I colleghi, che pensavo fossero mossi dai miei stessi sentimenti seppur ognuno con le proprie manifestazioni dettate dal proprio carattere, hanno come schiacciato il tasto di reset e sono ripartiti.
Ripartiti con i sorrisi, signore e signora, vuole un caffè, con le manifestazioni di impegno, con l'uso smodato della parola team e della seconda persona plurale.
Gli ignavi.
Dimenticati, di quando da un giorno all'altro ci hanno tolto tutti bonus riducendo gente a prendere la metà esatta dello stipendio senza avvertirci, guardandoci in faccia tutti i giorni. dei mesi e mesi passati senza stipendio e senza alcuna notizia a riguardo, della risposta se non ti va bene lì c'è la porta a chi si avventurava con umiltà a domandare se per caso per cortesia per favore si avesse anche solo un idea di quando.
Puff, tutto sparito da quando lei, piena di boria, ci ha sbattuto le cinque buste paga sotto il naso con due dita come fossero sporche e ci ha detto ho fatto i bonifici, e basta, ed è finita, e quello che lei voleva dire con quel gesto era che da quel momento in poi non avevamo più nulla di cui lamentarci e i nostri bronci dovevano trasformarsi in lunghe lingue pronte a leccare.
E i miei colleghi lo hanno fatto davvero.
Questo mi ha dato un bel pensare durante le ferie ma non è questo il punto.
Rientrata, la pellicola dell'assurdo ha toccato l'apice: i colleghi leccapiedi che guardavano al mio atteggiamento come si guarda la cimice che passeggia sui nostri panni freschi di bucato e i titolari tutti intenti a farmi notare che ero l'unica a non suonare le trombette per il momento di grande rinascita.
Mi hanno mandato in ferie una settimana prima, chiedendomi di compilare il foglio ferie come se le avessi richieste io ma senza darmi possibilità di scelta, mi hanno tolto il telefono aziendale, hanno fatto fermare la collega E. al mio posto la sera delle grandi firme dicendomi che erano certi io avessi cose molto più importanti da fare, più le solite parole al vento ben disposte in modo che arrivassero al mio orecchio se non le piace stare qui ha solo da non venirci più, se sta male c'è la mutua, lei non ha bisogno di lavorare perché è ricca di famiglia e viene qui solo a passare il tempo, e tanto altro.
Queste le loro punizioni.
L'armatura costruita negli anni è ben salda, ricordo ancora quando in periodi così tornavo a casa piena di dolori muscolari, alle braccia, alle spalle, come se avessi fatto attività fisica... riuscivano a pesarmi addosso in senso letterale, poi ho lavorato su me stessa, sono cresciuta e ho imparato a scegliere a quali cose permettere di spostarmi l'anima e a quali no. 
Lunedì sera, primo giorno della terza settimana di lavoro dopo le ferie, mi sono fermata un'ora e mezza con lui nel suo ufficio e c'è stato uno di quei momenti che io e la excollegaM. chiamavamo momento piovra. Lui sta lì dall'altra parte della scrivania e con i suoi tentacoli prova ad avvolgerti tutto quello che trova... un pacchetto completo che comprende quello che dici e quello che non osi dire, quello che ti azzardi a dire, i piccoli dolori che ti hanno portato lì, le bugie che hai detto, quelle che ha detto lui e tu conosci, le paure, i sensi di colpa, e tutto quello trova. 
Dai momenti piovra si esce distrutti i primi anni, poi si impara a difendersi e infine addirittura a sfruttarli a proprio favore. Lunedì il momento piovra l'ho indotto io e mi sono assicurata che sapesse cosa penso, o meglio cosa voglio che lui creda che io pensi, lui ha fatto altrettanto, e va bene così.
La settimana in più di ferie mi ha fatto comodo, il telefono aziendale è una rottura di palle in meno, eccetera.
In questi ultimi due mesi mi sono ripetuta tutti i giorni che la mia dignità vale più del mio stipendio e su questo non ho attualmente alcun dubbio. Se non si parla di stipendio però, se si parla di chiacchere futili che scaldano l'animo e ti fanno passare qualche minuto di sei ore che a volte sembrano non passare mai, se si tratta di non prendere il caffè da sola, se si tratta di una risata complice, di un commento divertente di tanto in tanto... come la mettiamo?
Non piegare il capo, non indossare una maschera di rispetto e servilismo in cambio di un po' di benessere nel luogo dove passo gran parte della mia giornata è davvero la scelta più furba? 
Questo rigore morale, questa coerenza a me stessa, in che modo mi verrà ripagato?
Non è che sono proprio gli ignavi alla fine quelli più furbi? 
Dignità si, ma a che prezzo? 

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